Don Francesco Gros
(10/10/1914-8/4/2008). Sacerdote, Parroco di Chiomonte. Ideatore e coautore, insieme ai suoi parrocchiani, dell'
Armanac Chamousin e dou Fraisan, pubblicazione parrocchiale annuale, a carattere religioso, sociale, di cultura locale, scritta in parte nel patois di Chiomonte.
Chiomonte, 27 Dicembre 1993
"Sono nato a Sauze d'Oulx, il 10 Ottobre 1914.
A quei tempi, per l'economia locale, che era contadina, i trasporti venivano effettuati sul carro: il fieno, il letame, il frumento, la segale, l'orzo, l'avena, le patate, venivano coltivati tutti questi prodotti, e col carro, dove si poteva andare col carro, un carretto non molto grosso, si effettuava il trasporto. Si venivano anche a ritirare le merci, quando si ordinava qualcosa per ferrovia, dei pacchi, oppure qualche carico di vino..., e allora si veniva alla stazione di Oulx a prenderli col carro. Non c'era nessun allacciamento con mezzi a motore di nessun genere, tra Oulx e Sauze.
Il turismo non esisteva ancora. Il primo è stato Eydallin Placido, col suo
Miravalle, verso il 1920. C'erano le osterie di paese, due, prima. Egli ha aggiustato la casa patema, rustica; era stato ad imparare, facendo servizio di cameriere all'estero, in Francia; aveva uno spirito di avventura. D'altro canto, si andava in Francia piuttosto normalmente, da Sauze, nell'inverno; lui, forse, ha evitato di andare a fare altri lavori, da manovale, era giovane ancora, ed ha fatto questa pratica di addetto al turismo, di cameriere, di cuoco; ha imparato le lingue, in Inghilterra, più ancora che in Francia.
In quegli anni, comunque, il turismo era embrionale, è incominciato proprio cosi, allora, nel '20, o qualcosetta prima, ma proprio in forme trascurabili. Invece, in quegli anni lì, arrivavano già per il turismo della neve. Prima ancora, forse qualcuno poteva venire in estate, ma credo che sia irrisorio, veramente.
La gente che aveva qualche soldino, trovava a dormire in quel piccolo albergo del
Miravalle, e, chi non ne aveva, giungeva col treno; noi scolari, tornando da scuola, portavamo su gli sci e il sacco, per guadagnarci una Lira; e poi, dormivano così, o nella stalla, sulla paglia, o in qualche camera, su un lettino, oppure sul
paiùn, si scaldavano con un po' di stufa e dormivano lì; oppure in una casa o nell'altra: chiedevano se uno aveva qualcosa a disposizione, ma di molto primitivo, ecco.Magari la gente, che dormiva nella stalla, lasciava il suo letto della primavera, dell'estate e dell'autunno, periodi in cui non si dormiva più nella stalla, per guadagnare quelle due Lire.
Oh, ben! Non c'era poi come adesso! Venivano come le gocce, così, veniva qualcuno...
Non c'era nessun mezzo di risalita, ne sciovie, ne altro: si andava così. Magari si arrivava anche fino alla Capanna Kind, si chiamava così, allora, Sportinia; ed a Sportinia c'era già un piccolo ritrovo, che risaliva appunto ai Kind, che avevano portato per primi lo sci nella Valle. Allora forse questo risaliva già ad anni prima, prima ancora della Grande Guerra. C'era un custode, il quale andava su di sabato, accendeva una stufa e dava un po' di paglia; poi, nella giornata successiva, che era di domenica, facevano lì un po' di sci, e venivano poi giù: quasi sempre si poteva andare fino alla stazione di Oulx con gli sci, per il bosco, per i prati. Non c'era nessuna pista, ma c'era della neve, sovente, un bel po' di neve; perciò si poteva passare, anche se c'erano dei muretti; si poteva passare nel bosco, quante volte ci siamo passati!
Noi scolari si andava ad Oulx a frequentare la quinta e la sesta. C'era già la strada carrozzabile, non era come adesso, ma il tracciato era quello. E si andava giù con la slitta, quasi sempre, quando c'era la possibilità. C'erano le scorciatoie, per la slitta. E tante volte si andava poi con gli sci per la strada, perché non passava nessuna macchina; passavano lo spartineve tirato da cavalli, ma restava intanto il fondo potabile per gli sci. Da Sauze ad Oulx non era tanto bello venire giù con gli sci; se c'era tanta neve, sì, si veniva, passavi giù dritto, altrimenti, era un po' difficoltoso. Io le scuole le ho frequentate a Sauze. Ad Oulx, un tempo c'era il Ginnasio, dove insegnava, fra gli altri, un bravo professore di Sauze, il prof. Faure. Io non ho frequentato questo Liceo, perché, quando mi ci sono affacciato, non c'era più: avevano già i Duci messo le scuole secondarie, che si chiamavano Scuole di Avviamento al Lavoro. E non c'erano mica ad Oulx! Si doveva andare a Susa. Io avevo dovuto andare a dare l'esame a Susa, al Castello, l'esame obbligatorio dopo le Elementari, per frequentare le Scuole di Avviamento al Lavoro. Ma non sono andato a quelle Scuole, perché sono entrato in Seminario, a Susa, in quell'autunno, nel '27. Tutti gli studi, ginnasiali, liceali, di filosofia e di teologia, li ho svolti a Susa, dodici anni in tutto (cinque di Ginnasio, tre di Liceo, quattro...).
Sono stato ordinato sacerdote nel '39; nel '94 saranno cinquantacinque anni. Durante quello estate, sono rimasto su a Sauze, a casa. Dopo dodici anni di Seminario, durante i quali non si andava mai a casa nel corso dei nove mesi scolastici, ma solo nelle vacanze d'estate, forse era giusto starci un po', o no?
Poi sono andato come vice-parroco a Sant'Ambrogio, per diciotto mesi. Da cinquant'anni sono qui a Chiomonte, dal 7 Novembre del '43. Mi han fatto delle feste, un mese fa! Prima, però, sono stato tre anni parroco a Beaulard.
La mia lingua madre è l'occitano. Gli scolari, i bambini fra loro parlavano tutti occitano, certo. Il piemontese si è appreso poi, così, col turismo, andando a scuola fuori; ma, altrimenti... è naturale che tutti parlassero occitano, salvo il prete in chiesa, che parlava in piemontese e poi in italiano, perché non era di lì, non sapeva parlare occitano.
Io, invece, parlo occitano qui, a quelli che ancora lo capiscono; infatti, l'occitano di Sauze d'Oulx e quello di qui hanno soltanto delle piccole differenze, non sostanziali. Io parlo adesso un occitano un po' pot-pourri, un po' maculato: di lingua madre di Sauze, poi sono stato a Beaulard, e anche lì le differenze c'erano, e poi a Chiomonte, perciò... Poi ho frequentato anche altri paesi, così, per predicazione... Quindi, nella mia vita, l'occitano l'ho sempre parlato e lo parlo ancora oggigiorno con quelli che lo parlano; non più puro di Sauze (comunque la base è sempre quella) e nemmeno ancora chiomontino, perché ho nelle orecchie un po' dell'uno e un po' dell'altro.
Ho visto diminuire le persone che lo parlano in misura abissale.
I ragazzi qualcosetta hanno fatto anche a scuola. Hanno inaugurato l'altro giorno, come lei saprà, il museo etnografico a Susa, hanno scritto i nomi degli attrezzi da lavoro... Ma i più son meridionali, adesso.
In casa hanno incominciato a parlare italiano, o piemontese, ma più che altro italiano, perché voi insegnanti, voi, avete detto che l'occitano era una cosa troglodita, che non dovevano parlarlo in casa, assolutamente, perché, altrimenti, li avrebbe confusi nel fare i temi, i componimenti, perché distruggeva loro quello che si imparava a scuola. Dovevano finirla di pensare in occitano e poi, eventualmente, di tradurlo in italiano.
Basta! Una campagna così!... Adesso, io forse esagero anche un po' i toni. Ben, la campagna dell'Italia, che ha mangiato tutte le nostre tradizioni, tutto, l'Italia sgangherata com'è adesso! Allora lo era un po' meno, comunque, ha mangiato cultura, ha mangiato lingua, ha mangiato tradizioni, ha mangiato la gente... e ci ha messo i cinghiali! Ecco il quadro dell'Italia, in questo, per noi! Ha anche fatto spopolare eccessivamente le nostre valli. Forse lo spopolamento non è dovuto soltanto ad una cattiva politica, ci sono anche le ragioni della pianura, del disagio. Ma lo Stato non ha mai speso un soldo per la montagna, per aiutare veramente l'autoctono, quello che era lì, aiutarlo a restare. La montagna è stata tenuta molto in arretrato, per le strade, per la luce, per le cose essenziali.
E non tutti i paesi hanno avuto o hanno attualmente una vocazione turistica, d'estate e d'inverno. Qualcosa ancora di estate, in certi posti, in cui, chi è andato via si è poi magari fatto un po' le ossa, ha aggiustato la casa e vi ritorna d'estate. Però, se non c'è possibilità di turismo, la casa resta chiusa, per i nonni, per i figli, per i nipoti, per i genitori. Resta chiusa, resta abbandonata. Su a San Colombano, mi sembra, d'inverno, ci siano tre o quattro persone. I primi anni che ero qui, andavo su, quante volte!, a predicare, a fare! Persino dei tridui, delle missioni! C'era tanta gente cordiale, come sempre, nell'Occitania. Quel parlare
patois, cosi; e nelle altre borgate, anche.
Tornando al nostro discorso, è per questo che è andato giù: per prima cosa, a causa della scuola. Mio padre e mia madre non me l'hanno mai detto di non parlare occitano, han sempre continuato a parlarmi così, si chiamava
patois, allora. Mio fratello era maestro, ha fatto una buona riuscita negli studi; io so anche scrivere italiano abbastanza bene, se voglio.
E poi, per questo movimento: di non volerci più stare. Uno incominciava ad andare a vivere a Torino, per lavorare; poi tornava e i figli dicevano di restare giù... Così, han continuato a parlare padre e madre in
patois; coi figli, già che lo capivano poco, e fuori hanno incominciato a parlare in italiano; poi, quando i genitori sono diventati nonni e bisnonni, l'occitano non lo sapevano nemmeno più. Sebbene qui ci sia ancora una buona parte di popolazione che lo sa. Sono eccezioni, però, quelli che hanno allevato i figli parlando occitano, adesso. Un tempo, cinquant'anni fa...
Sì, il patrimonio è perso e non è risuscitabile. Però, con un tantino di buona volontà, della cultura, anche occitana, se ne è fatta. Da molti, molti anni, una parte del Bollettino Parrocchiale è stata riservata all'occitano scritto, anche attingendo allo scritto antico, poesie, aneddoti... Ci sono, inoltre, i registri più che della Parrocchia, soprattutto del Municipio, da cui si tiran fuori molte informazioni, per esempio, di un'annata di trecento anni fa...
A casa mia, i miei genitori facevano la "doppia vita", soprattutto mio padre. Erano insegnanti (mio padre aveva insegnato dapprima a Sant'Ambrogio e poi ad Oulx, per svariatissimi anni) e, nello stesso tempo, facevano gli agricoltori. Mia mamma ha invece lasciato presto l'insegnamento, eravamo tre figli maschi; e allora ha lasciato la scuola, per attendere alla famiglia. Mio padre si chiamava Luigi Gros, mia madre Clementina Peraldo, era di una famiglia oriunda delle parti di Viù; c'è ancora un bar, a Sauze, di Andrea Peraldo, è mio cugino.
Mio fratello Pietro è mancato a trentadue anni. Ha insegnato un po' ad Oulx e poi è andato ad insegnare nel Trentino. Allora si facevano questi scambi. Non so cosa volesse fare il Duce, di più o meno buona o cattiva memoria, per la solita politica, stupida e cretina, secondo me, di voler andare ad insegnare la lingua italiana a quelli che normalmente parlavano tedesco, come fanno adesso fra Ebrei e Palestinesi... Sono stato in Palestina questa primavera. Per ottenere poi gente di lingua che stia in Italia, che non scappi, che non faccia la rivoluzione... Questa politica! Come, d'altra parte, l'han fatta, dopo il Trattato di Utrecht, 1713, qui, per un bei periodo di tempo. La Casa Savoia ha avuto il suo bei daffare per addomesticare, per esempio, i preti che c'erano allora a Chiomonte e anche molti altri, per cambiare la lingua: si parlava in francese, tutti gli atti sono in francese, ed hanno continuato ad esserlo fino al 1840-50, addirittura. Ce n'è voluto! E così credo che sia, più o meno, come fanno in tantissimi posti, lei me lo insegna. Così hanno mandato dei maestri in là. E mio fratello è andato, là si è sposato, e poi... è mancato ed è sepolto là.
Il mio fratellino, che è mancato da piccolo, si chiamava Francesco, come me, ed era il secondo. Ultimo sono nato io; il terzo di tre figli, buon ultimo!
E allora, in quel tempo lì, in quegli anni lì, del '22, del '23, ritornando mezzo minuto al turismo, si andava, come ho accennato, ad Oulx, solo al sabato sera, non soltanto io, ma anche altri miei compagni (facevamo quinta e sesta); si andava, usciti da scuola, a scaldarsi in una stalla. C'era la scuola col doppio turno, allora si facevano le cose sul serio, anche adesso, eh! Si andava dunque nella stalla di uno che faceva il mercante di cavalli, mi sfugge il nome; si stava lì, aspettando il treno, che arrivava, più o meno come adesso, verso le sei; un treno in cui venivano molti sciatori, non solo lì ad Oulx, ma anche a Bardonecchia. Cesana no, era distante e non c'erano ancora i trasporti, le corriere. Il treno si fermava, e allora noi a gridare:
"Ski Sauze! Ski Sauze!", che voleva dire: farsi portare su gli sci, perché erano dei patacchini, magari arrivavano dalla città, stanchi... E allora, noi prendevamo gli sci, il sacco, tutti e due oppure una sola cosa, a seconda di quanto pesavano, e li portavamo su fino a Sauze, a piedi; c'era già lo stradone sterrato, ma noi prendevamo su per le scorciatoie. Così prendevamo questo sacco da montagna e gli sci; guadagnavamo, portando le due cose, trenta soldi.
Qualche volta, non giungeva nessuno con quel treno lì; allora, aspettavamo, c'era ancora un altro treno, più in là. Ero sveglio già abbastanza, neh! E poi, eravamo insieme diversi compagni, non ero mica solo! E i miei genitori, su, mi tenevano la cena pronta. Una volta, però, ho accompagnato un uomo fin su a Capanna Kind, la sera stessa! Ce n'erano, invece, che si fermavano lì a Sauze e il mattino dopo si aggiustavano, era giorno. Quella sera, invece, l'abbiamo accompagnato fin su, e poi siamo tornati a casa, in una pista nella neve; era buio, ma c'erano le lanterne, allora, e mi pare bene ci fosse anche qualche pila. Non avevo gli sci, perché bisognava portare su gli sci degli altri, e poi, di notte, non è certo consigliabile a nessuno, non essendoci alcuna pista tracciata. Non è consigliabile nemmeno adesso sciare di notte.
Ricordo, però, una volta abbiamo fatto una gara; era già uscito un piccolo sci-club, un piccolo gruppo, lì così, dal Miravalle di Eydallin, che faceva da faro. Una gara di fondo: da Sauze, con gli sci, fino a Sportinia e ritorno. Una sfacchinata! L'anno sarà stato il ‘24 o il '25, avevo circa dieci anni. Son partito per primo, sono arrivato per ultimo. Ecco, tanto per dire! Eh, non giungeva più quella Capanna Kind! Era già tutto segnato con le bandierine, neh! E avevamo allora un giovane, che era Luigi Faure, ed è stato olimpionico, e saltava anche bene dal trampolino".